Meka Chan copertina

Meka Chan, l'androide che sognava il presente

Intervista a: Claudio Acciari

Claudio Acciari è un'ammirevole anomalia del cosmo a fumetti italiano.
Il suo percorso professionale si svincola di gran lunga dalla maggior parte di quanti stanno producendo negli ultimi anni, nella nostra penisola, fumetti.
Meka Chan è il primo, compiuto e anomalo lavoro illustrato dall'uomo: un concentrato di tenerezze visuali e narrative che riporta ai primordi dell'animazione giapponese. Architettato come si trattasse di uno storyboard.
L'intervista originale risale a gennaio del 2016, e appare qui in forma integrale.

Come sei finito a pubblicare per Bao?

La prima volta che vidi il logo Bao Publishing fu abbinato a delle tavole di Beta condivise in rete, il fumetto scritto da Luca Vanzella e disegnato da Luca Genovese (che non conoscevo ancora di persona), dove i riferimenti alle serie robotiche giapponesi anni '70-'80 erano evidenti ed orgogliosamente ostentati, questo successe circa tre anni fa quando la stesura di Meka Chan era completa ma i disegni erano ancora ad uno stadio abbozzato e l'impaginazione più simile ad uno storyboard giapponese, con 5 vignette per pagina disposte verticalmante sul lato sinistro e i testi a fianco, a destra. In quel periodo, tra le poche persone con le quali condivisi il racconto per avere un'opinione professionale ci fu Lorenzo Ceccotti che stava proprio firmando il contratto con Bao per il suo Golem, mi disse che, secondo lui, Bao sarebbe stata una casa editrice aperta per promuovere un progetto come Meka Chan e , sapendo che Lorenzo è uno che pesa bene le parole, non ebbi dubbi, scrissi a Michele Foschini una mail per prendere un appuntamento in redazione e parlare a quattr'occhi del mio progetto. Nella mail di presentazione allegai il progetto in formato pdf così che una volta giunto in Bao si sapesse di cosa parlare.
Sia Michele che Caterina Marietti accolsero il progetto molto positivamente e si dimostrarono subito interessati a pubblicarlo. Michele trovò interessante questa "anomalia" simil storyboard ma mi anticipò che l'impaginazione così com'era avrebbe creato un pò di disorientamento in un lettore abituato a vedere pagine fitte di vignette e baloons, però ero già preparato a questa osservazione, in precedenza Lorenzo Ceccotti mi confidò che vedere tutto quello spazio vuoto per pagina sembrava uno spreco e toglieva forza alle vignette, non potei che essere d'accordo, un'impaginazione più appagante non avrebbe che migliorato l'appetibilità del progetto. A me interessava raccontare quella storia, con quei testi e quei disegni, attraverso una successione di immagini racchiuse in vignette del medesimo formato ( a mo' di schermo televisivo) con i testi esterni all'immagine, sotto forma di didascalia, per il resto tutto era negoziabile, ero aperto a suggerimenti di ogni tipo.Se Meka Chan fosse stato un volume con una vignetta per pagina, due, quattro, sei, per me non sarebbe cambiato nulla, ad un certo punto si pensò ad un formato orizzontale A5 con sei vignette per pagina, poi, per possibili problemi espositivi si decise per un formato verticale, come lo è ora.
Durante la collaborazione ho sempre avuto la sensazione che sia Michele, Caterina e tutto staff della Bao, avessero a cuore la valorizzazione di questo progetto e di conseguenza il rispetto verso la mia figura come autore, è stata una collaborazione piacevole che mi ha ricordato gli standard professionali internazionali ai quali sono abituato. I prodotti presenti nel loro catalogo ne sono una garanzia dopotutto, da Astrogamma a Il Porto Proibito, da Tormenta Nera a Gus...

Inside Out_Acciari

Parlaci di Meka Chan, delle particolari scelte cromatiche, la struttura pseudo-storyboard, i riferimenti che hai portato con te.

Dopo aver realizzato Meka Chan posso dire di sentirmi realizzato come autore,mi sono proprio tolto un sassolino dalla scarpa, è un progetto che ha preso forma con spontaneità in modo a tratti imprevedibile.
Meka Chan nasce come sigla di un ipotetico cartone animato inesistente, nel 2009 scrissi il testo di una canzone che aveva come tema Meka Chan appunto, studiai un giro d'accordi che potesse ricordare le vecchie sigle, quelle scritte negli anni 80 da gruppi italiani come i Superobot, i Cavalieri del Re, il duo Tempera - Albertelli, le Mele Verdi e così via, cercavo un rif che contenesse un sapore nostalgico immaginandomi di ricordare un prodotto che in realtà non è mai esistito ma che mi piaceva far finta lo fosse. Ho pensato: potrebbe essere una ragazzina androide simile a Cybernella ma con ambientazioni che ricordano Conan il Ragazzo del Futuro o la sigla di Peline interpretata dalla dolcissima voce di Georgia Lepore, ecco, questo era il mood di base. Scrissi delle frasi con una metrica secca che ricordasse la lingua giapponese ed alcuni parole tipiche del genere SCIFI come: Velocità Supersonica, Retro-ingegneria, Bulloni, Circuito, Generatore, ho anche trovato una rima usando la parola DNA, suonava bene. Poi contattai dei miei cari amici per registrare la sigla, Stefano Farci e Alessandra Congiu che canterà il pezzo. Feci delle illustrazioni a colori proposte come uno slide show combinate con la traccia audio e condivisi il tutto su YouTube. Dopo qualche mese mi contattò un editore francese chiedendomi di voler pubblicare un mio fumetto con soggetto Meka Chan, mi ritrovai ad abbozzare sotto forma di storyboard una storia ispirandomi alla sigla che avevo fatto, un procedimento a ritroso in pratica, mi chiedevo come potessi utilizzare il concetto di manipolazione genetica nella trama (come suggeriva quel "DNA" nel testo della sigla) o come mai Meka Chan disponesse di una...Velocità Supersonica. Mi affezionai così tanto al progetto che decisi di completare tutta la stesura dello storyboard, vignetta per vignetta, per sottoporre qualcosa che non fosse aperto a modifiche. Il rapporto con l'editore francese non funzionò per vari motivi, ragion per cui il progetto non vide mai la luce come fumetto nella sua forma classica (con baloons). Ormai Meka Chan aveva vita propria come storyboard, mi piaceva così com'era, passai il resto del tempo a ridisegnare le vignette che avevo già fatto curandole di più nel dettaglio. Nel racconto, la ragazzina androide è un'anomalia sul suo pianeta natale e anche il progetto sembrava volesse esserlo, ormai mi pare impossibile pensarlo presentato in una veste grafica diversa da quella attuale anche se... andrei avanti a ridisegnare le vignette all'infinito, strada facendo i personaggi si metabolizzano sempre più, ora mi sentirei di disegnarli con proporzioni leggermente diverse ma... a un certo punto bisogna saper dire "va bene così", certe modifiche le terrò per il prossimo racconto.
Non spetta a me dirlo, essendo l'autore, il mio "compito" finisce quando poso la matita, però gioisco nel notare che, oltre ai responsabili in Bao, diversi lettori abbiano colto le vere potenzialità di Meka Chan che si esprimono a pieno nella sua forma evocativa, nel suo presunto incompiuto: un bianco, grigio e nero che "allude" a certi colori proprio come quando si guardava Goldrake in una TV in bianco e nero e i colori ce li si immaginava, dopotutto è con questo intento che è nata la sigla di Meka Chan, uno spettatore il cartone animato se lo può immaginare, può ricamarci su con la sua fantasia, quello che volevo fare era dare degli spunti convincenti, che potessero toccare certe corde di un'emotività che avesse come terreno comune un periodo storico irripetibile, quello dell'arrivo dei cartoni giapponesi in Italia nei primi anni 80 e se ci pensate, anche questo approccio artistico rivolto più alla sfera emotiva a discapito di quella tecnica, satura di informazioni, è coerente col cuore della vicenda di Meka Chan: Emotività Vs Razionalità.

Manifesto ipotetico

Qual è il tuo rapporto con il passato, influenza in qualche modo la tua percezione del presente?

Non ho mai gestito racconti così lunghi sino ad ora, credo d'aver imparato molto e d'aver risolto dei problemi o dubbi che avevo e questo mi tornerà utile la prossima volta. Ora sto lavorando su soggetti che realizzerò a colori, mi terrò su un registro stilistico che, come in Meka Chan, strizzerà l'occhiolino a prodotti del passato non perchè sia un nostalgico ad oltranza ma perchè molte delle opere contemporanee non mi ispirano. La smania di sfornare cose "nuove" , a mio avviso, ha dato potere a nuove figure professionali di indirizzare gli artisti su sentieri artisticamente blandi che si "reggono" sulla paura di fare un passo falso e la ripetitività di queste richieste, ha generato un'assuefazione da parte del pubblico a immagini violente, ciniche e disarmoniche ormai gettonate perchè comunque, sinonimo di attuale... tutto il contrario delle immagini che ispirano me, partendo dal calore di quelle degli anni 50 passando dalle sperimentazioni grafiche degli anni 60 per giungere agli anni 70 giapponesi.  Per me, in arte, il "Vecchio" e il "Nuovo" non esistono, esiste ciò che nasce vivo e ciò che nasce morto, ciò che è gradevole e ciò che non lo è. Se la mia preoccupazione come artista è liberare un'idea mia, che mi frulla per la testa, e la realizzo in totale onestà, automaticamente sarà unica, fresca (il chè non implica che sia un capolavoro). L'originalità è un'ovvia conseguenza della sincerità, perchè se ognuno di noi su questo pianeta è unico allora se è se stesso (artisticamente parlando) sarà unica anche la sua opera. Il problema nasce quando una cosa originale e nuova "deve" piacere alla maggior parte dei fruitori perchè risulti un successone economico, da qui la necessità di tramutare il concetto di "originale" in "nuovo", cosicchè un team (spesso capeggiato da una persona più sensibile al marketing che all'arte) possa costruire a tavolino un'opera frankestein dove nessuno possa rivendicarne una paternità al 100%, e, come un padre che non riconosce il proprio figlio, nessuno degli operatori coinvolti se ne può pienamente affezionare.
Di recente questa macchinosità si è appropriata anche della sua sfera da sempre antagonista, cioè la poesia. Non riesco ad immaginare uno sceneggiatore, un regista o un illustratore di questi tempi approcciarsi alla poesia con la naturalezza che questa operazione richiede...secondo me vorrebbe strafare, vorrebbe fare la scena... più poetica del mondo. Un vero controsenso, no? È sempre un dilemma dover scegliere tra individualità e consenso, anche questo è uno dei temi affrontati in Meka Chan, è meglio essere sinceri con se stessi o piacere agli altri smussando i propri gusti fino al punto in cui i propri gusti si ricostruiscono conformi a quelli del consenso?
Rileggendo un fumetto di Leiji Matsumoto, di Sumika Yamamoto, di Tezuka o Yoshihiro Tatsumi per fare alcuni esempi, percepisco un'onestà di fondo disarmante, non vi è malizia, c'è il bisogno di un autore di raccontare delle storie.

Dicci del tuo metodo di lavoro.

Non ho mai avuto un metodo di lavoro in senso stretto, in fase ideativa sono semplicemente coinvolto in un turbine di pensieri che mi accompagna quando disegno, quando vado in macchina, quando sono in bagno, quando cammino verso il bar più vicino per un caffè e mi immagino delle scene in sequenza, dei botta e risposta che i miei personaggi possono recitare in un'ipotetica trama sempre cangiante nella sua struttura, non mi alzo mai ad un'ora prestabilita in modo abitudinario, ci sono dei giorni in cui riesco a fantasticare e sono molto concentrato, altri no. Spesso mi sento, in rapporto alle mie idee, come uno scultore del marmo, devo solo togliere il superfluo perchè l'idea buona è già nella mia mente ma per il momento non riesco a visualizzarla nitidamente perchè coperta dal superfluo, mi succede anche quando scrivo e suono un brano musicale. So che altri artisti hanno un sentiero che li fa cadere in piedi, partono da uno scheletro, ci aggiungono dei pezzi di creta, modellano i muscoli ed ecco comparire una statua bella che finita, io faccio il contrario: sento che dentro quel pezzo di marmo c'è una statua con quelle caratteristiche e così comincio a picconare. Ricordo che, per una parte del racconto di Meka Chan, mi coricavo a letto, ad occhi chiusi e immaginavo di vedere Meka Chan in TV, poi se le azioni fluivano bene e si incastravano tra loro, mi alzavo e mettevo giù appunti, sia per il testo che per le inquadrature, poi tornavo a letto, immaginavo, mi alzavo, prendevo appunti... e così via.

Résumé

Raccontaci delle tue esperienze nel campo dell'animazione.

Tra le più grosse sorprese che ho avuto in ambito professionale credo ci siano le varie assunzioni, in particolare quella relativa all'inizio di collaborazione con la Dream Works. Ai tempi stavo lavorando presso uno studio d'animazione situato a Monaco di Baviera e a fine collaborazione racimolai un po' di soldi per passare una settimana a Los Angeles per poter mostrare il mio lavoro a John Pomeroy, un veterano dell'animazione conosciuto soprattutto per le sue scene nei film di Don Bluth e il suo senso del design pazzesco, volevo avere un'opinione sul mio lavoro da colui che consideravo e considero tutt'ora come un grandissimo artista. Fu gentilissimo e mi ricevette un pomeriggio in Disney, aveva appena terminato una sequenza su Fantasia 2000, mi diede qualche consiglio e ci salutammo. Ero al settimo cielo, poi una ex collega, Alexa Goriup, che nel mentre lavorava come assistente in DreamWorks mi invitò per pranzare assieme in studio e mi consigliò di portare con me il portfolio che poco prima mostrai a Pomeroy, così da poterlo sottoporre ai supervisori in DreamWorks. Lo stesso pomeriggio mi dissero che erano interessati ad assumermi come animatore junior, fu un giorno per me memorabile! Un'altra bella sorpresa l'ebbi quando James Baxter mi accettò nel suo team per lavorare sul personaggio di Tulio nel film Le vie per Eldorado.
Una brutta sorpresa, invece, ci fu quando una macchina, alle 3'30 di notte sfondò la porta-finestra del mio appartamento al piano terra ed entrò con tutto il muso fino a fermarsi a mezzo metro dal mio letto, ma anche questo è l'America. Però mi è servito molto lavorare all'estero, ho avuto la fortuna di lavorare al fianco di bravissimi artisti provenienti da ogni parte del globo e ho toccato con mano la sensazione di lavorare in ambienti al top come professionalità. Non potrei dire la stessa cosa una volta tornato in Italia dove, al contrario, la confusione e l'ambiguità sembrano essere gli ingredienti onnipresenti di ogni produzione, una cultura vera e propria consolidatasi per favorire soluzioni d'emergenza dell'ultimo minuto per ridurre a ruolo di tappabuchi l'esperienza e l'abilità, così che sia impossibile rivendicarne la loro intrinseca insostituibilità. Penso che in parte sia complice di ciò il fare cattolico in contrapposizione col più anglosassone e pragmatico calvinismo. Nei paesi all'estero (quelli in cui sono stato, intendo) si deve fare un buon lavoro perchè con questo lavoro si facciano tanti soldi, pena l'espulsione dai giochi. In Italia, una volta messe le mani sui fondi destinati ad un lavoro... si può anche fare quasi a meno del prodotto.
Forse, tutto si riduce tristemente alla legge della carota e del bastone, sarebbe bello pensare il contrario ma... se in un ambiente di lavoro, un artista, un executive, un manager o un addetto alle pulizie, non rispetta gli impegni presi e per questo puntualmente riceve un disagio per non dire una punizione, dopo un po' cambierà atteggiamento, nei posti in cui queste regole valgono per tutti si crea un vero e proprio credo del lavoro, in Italia la fa da padrona ciò che si sottintende da un atteggiamento o una frase, questo continuo dover leggere e parlare tra le righe impedisce di prendersi delle responsabilità dichiarate nero su bianco sin da subito, ma ripeto, questa non è che la conseguenza di un modo diverso di "far soldi" rispetto ai paesi in cui i processi produttivi "devono" funzionare. L'industria dell'animazione è cambiata molto nel corso degli anni, quando ho cominciato io nel 1994 l'unico modo per fare i cartoni animati era quello tradizionale, partendo dai disegni su carta. L'esperienza di un animatore si costruiva su un lasso di tempo molto dilatato e le abilità di un veterano rendevano quest'ultimo indispensabile per alzare il livello di un film o di uno spot che fosse.
Ricordo che bastava citare il nome di Andreas Deja o Glen Keane per creare un marchio di qualità sull'ultima uscita Disney, questo accadeva fino alla fine degli anni 90 poi il CGI, secondo me, ha risolto problemi tecnici prima d'ora di competenza di una mano esperta. Anche in Giappone s'è persa quella poesia alla quale il primo Miyazaki ci ha abituato. Alla Ghibli si sono raffinati tecnicamente però, con una maggiore cura della superficie non corrisponde necessariamente un arricchimento nella sostanza, io continuo a preferire il Miyazaki pre-oscar, ma è un discorso che applicherei a nomi come Matsumoto, Dezaki, Nagai e tanti altri. Secondo me, anche in arte, c'è un punto in cui non ha più senso alzare l'asticella, si raggiunge un perfetto equilibrio tra tecnica ed espressività e li ci si deve fermare, secondo giusta misura. Non sono un esperto di ginnastica artistica però, riguardando le esibizioni a corpo libero di Nadia Comaneci percepisco una pulizia nell'esecuzione impressionante, ogni movimento è armonico e coordinato, agile, attraente, tutto è legato da un'armonia piacevole da guardare, poi guardo gli esercizi di atlete contemporanee e pur di fare un avvitamento in aria in più rendono tutto forzato, spingono tutto al limite della difficoltà tecnica dimenticandosi dell'insieme, cadono male, sembra che perdano l'equilibrio ma ricevono un punteggio comunque alto, perchè?... perchè per quel tipo di salto è già un miracolo cadere in piedi, beh, allora fai un salto più semplice così mi togli il fastidio di vedere una persona che sbraccia pur di rimanere in piedi. In animazione è avvenuto pressappoco lo stesso, si è cominciato a pensare che la giusta misura fosse... troppo poco, si doveva fare di più.

Quali gli autori che ti hanno segnato e, dopo Meka Chan, come vedi il tuo lavoro?

Quando disegnavo Meka Chan avevo in mente le atmosfere create da Matsumoto in Galaxy Express 999, le perplessità di Jenny la Tennista, l'ingenuità di Cybernella, il design di Yoshinori Kanada, poi, credo che inevitabilmente siano finiti nel fumetto strascichi di stilemi che mi porto dietro da tempo provenienti da un immaginario più europeo e a volte americano. Sono da sempre amante della pittura di fine ottocento, sfoglio spesso pubblicazioni di quadri di Paolo Michetti, Favretto, De Nittis, Boldini, i fratelli Induno, Telemaco Signorini, Mosè Bianchi, Ettore Tito, Singer Sargent, Sorolla ecc... e poi ho una sbandata per l'arte di Chagal, Raoul Dufy, Picasso. Sicuramente il personaggio Huge Dog può considerarsi un misto tra un cavallo di Chagal, Snoopy e qualcos'altro. L'animazione tradizionale riuniva sotto lo stesso tetto competenze diverse e in molti casi questo favoriva il sentirsi parte di un gruppo in cui avere un ruolo come artista e come persona, da quando mi sono allontanato dagli studi questo un po' mi è mancato. Ora lavoro meglio in solitudine e il fumetto autoriale s'è dimostrato il media più adatto per creare in modo autonomo, non riesco a pensare a Meka Chan inserita in un processo produttivo interagendo con un team di artisti mossi da gusti e motivazioni professionali tanto diverse. Credo che nel lavoro di team, sia importante il team, nel lavoro autoriale, il singolo. Solo in Giappone sono bravissimi a coniugare le due istanze.

©Daniele Ferriero