Anarchica sperimentazione VS goffa convenzione

Intervista a: Diego Lazzarin

Data al 2015 l'impresa di Diego Lazzarin.
Il quale Lazzarin, non pago di un segno del tutto sui generis e una visione scintillante di caos e colori, sceglie la difficile strada dell'autopromozione.
Organizzato il crowfunding, produce il suo Aminoacid Boy and the Chaos Order, uno Chagall frullato sotto una coltre di DMT, pop surrealista, Ed Wood e lowbrow.  Una cronaca dell'alieno, letteralmente, nelle forme di una disturbante opera prima dipinta a mano in tecnica mista.
È un profluvio incandescente e folle di acrilico,acquerello, chine e colori ad olio quello che finisce nella tavola finale.
Mentre la maggior parte dei fumettisti aveva un bello scavare tra paturnie intimiste e riflussi passatisti o nostalgici, Lazzarin provvedeva infatti a esplodere fuori dagli argini una dose esagerata di libertà creativa e indipendenza individual-editoriale.
In attesa della sua seconda opera, queste sono le sue parole.
L'intervista è stata realizzata a settembre 2018.
 

 

Partiamo dalle fondamenta: qual è stato il tuo percorso e hai avuto sin dall’inizio le idee ben chiare relative a cosa avresti voluto fare? Qualora avessi studiato illustrazione, disegno, animazione e dintorni, quali sono stati i momenti o le tecniche più importanti nella tua formazione?

Stavo riflettendo di recente sul fatto che sin da bambino ho sempre fatto quello che sto facendo oggi. Quando tornavo a casa dalle scuole elementari finiti i miei compiti ogni giorno giocavo a creare qualcosa… piccole statuine, un disegno o un fumetto. A un certo punto ho cominciato a fare un fumetto alla settimana (avrò avuto 7/8 anni), una volta finito lo consegnavo a mia zia  che faceva una fotocopia di ogni pagina in ufficio e le pinzava mentre io attendevo con trepidazione il suo arrivo a casa con la mia copia stampata. Senza rendermene conto stavo realizzando le mie prime edizioni. Poi un giorno una collega di mia zia (forse la mia prima lettrice) divertita dalle mie storie, ma che forse trovava che i miei disegni fossero troppo caotici, pensando di farmi una gentilezza mi disegnò una griglia ben squadrata e ne fece diverse copie, così da semplificarmi il lavoro ed aiutarmi ad essere più ordinato. All’epoca avevo troppo rispetto per gli adulti e pensavo che i loro suggerimenti fossero sempre saggi, così cominciai a utilizzare la griglia, ma ben presto credo che questa gabbia abbia iniziato a soffocarmi e così ho cominciato ad occuparmi di altre cose.

Alle scuole superiori (avendo una attitudine creativa “scelsi” grafica pubblicitaria: errore/orrore) diversi ragazzini disegnavano fumetti con molta dedizione e a me sembrava una cosa che richiedesse preparazione e padronanza di regole e strumenti. Io volevo essere creativo in modo istintivo, ascoltavo musica più o meno punk, quindi cominciai a dedicarmi a quella.

Mi sono domandato a lungo quale avrebbe potuto essere la mia professione ideale e mi sono reso conto molto tardi che è ciò che già facevo da bambino. Ho a avuto lungo l’idea sbagliata che il lavoro debba comportare un po’ di sofferenza, possibilmente facendosi schiavizzare da qualcuno, altrimenti non si può definire lavoro (forse è un retaggio della mentalità brianzola), quindi inconsciamente ho sempre sentito una sorta di stupido senso di colpa per cui se ti piace fare quello che fai probabilmente non può trattarsi di un lavoro…

Per tornare alla tua domanda, nell’atto creativo non mi piace rispettare le tecniche e seguire le nozioni, mi piace scoprire come fare le cose a modo mio anche se richiede più tempo arrivare a sviluppare un metodo personale. Conseguentemente a questo le tecniche che apprendo le padroneggio prima a livello inconscio cha a livello teorico.

Ho letto anche che hai studiato scenografia all’Accademia di Brera, cosa ti rimane di quel patrimonio?

Quello che ricordo con particolare piacere dell’accademia sono le moltissime belle ragazze.

Non definirei esattamente un patrimonio quello lasciatomi dall’accademia…ai tempi non avevo una forza di volontà così grande da poter riuscire ad apprendere qualcosa all’accademia di Brera, perché apprendere qualcosa spesso richiedeva davvero una dedizione notevole. Ai tempi avevo una spiccata attitudine alla procrastinazione (oggi sono molto cambiato)… entrare in classe e non trovare il professore o trovarlo intento a leggere il giornale, non faceva altro che incentivarla.

Ho scoperto ben presto che gli esami si passavano con una sorta di 24 politico e solo per il fatto di esserti presentato meritavi un 18.

Ti parlo di 15 anni fa e di quello che succedeva nelle classi che (a volte) frequentavo, sono sicuro che altre persone ti potranno raccontare altri tipi di esperienza. In altre aule mi sembravano un po’ più attivi ma non ho idea di cosa stessero facendo esattamente.

Seguivo però con interesse un professore di storia dell’arte teneva un corso sulla Pop Art con un approccio interdisciplinare. Mi piacevano i collegamenti tra arte, musica, cinema, letteratura.

Mi decisi a darmi da fare solo per la tesi di Laurea, forse perché nell’intervallo durato dieci mesi tra la fine degli esami e la tesi ho svolto il servizio civile e qualcosa è scattato nella mia testa. Ho così realizzato (in maniera completamente autonoma) il mio primo cortometraggio “Cuore di Cane” tratto dall’omonimo romanzo di M. Bulgakov, che in seguito ha ricevuto un ottimo riscontro e da lì ho cominciato a prendere pseudo-seriamente la mia creatività.

Hai lavorato anche a tutta una serie di video musicali e/o commerciali: in che modo hai avuto questi contatti, quale è uno di questi lavori di cui sei particolarmente orgoglioso e perché? Da un punto di vista strettamente economico, credi che il mercato in questo campo sia favorevole al tuo modus operandi?  Penso soprattutto ai video di Bugo, Subsonica e Tre Allegri Ragazzi Morti.

Anche in questo caso si parla di una vita fa, ormai più di dieci anni. Quello dei video musicale è un argomento che oggi non mi interessa più. Dunque provo a ricordare…

Tutto è iniziato perché conoscevo un tizio che conosceva un tizio che aveva lavorato con Bugo. Ai tempi mi piacevano le sue canzoni tipo “il cellulare è scarico” o “Io mi rompo i coglioni”. Avevo appena fatto un paio di video per il progetto musicale di mio fratello con cani con volti umani e torte velenose, per divertimento, non erano venuti male, così mi sono fatto dare il contatto di Bugo e gli ho proposto di fare un video. Ho fatto il video di Ggeell, poi, frequentando musicisti, da cosa nasce cosa . Tutti si conoscevano nella scena musicale indipendente Italiana.

Sono certamente orgoglioso dei video fatti per i Tre Allegri, loro hanno questo immaginario che è perfettamente definito ma allo stesso tempo è malleabile e si presta a contaminazioni e mutazioni. Poi Davide è forse l’unica persona che avrei voluto mi dicesse cosa fare nell’ambito dei video, invece è l’unico che mi ha sempre lasciato carta bianca.

Anche lavorare con i Subsonica è stata una bella sfida, ho un bellissimo ricordo di quel mese di lavoro.

Per quanto riguarda la tua domanda sui compensi ne ho ricevuti un po’ di tutti i tipi, ma se hai proprio voglia di parlare di soldi (l’argomento mi fa ancora oggi venire un po’ di mal di testa), volendo schematizzare direi che i miei compensi per i videoclip sono stati per il 60% inadeguati, 15% sufficienti/adeguati 5% buoni/soddisfacenti e poi c’è un 20% di persone senza vergogna (principalmente gruppi emergenti, ma non solo) che mi proponevano di lavorare gratis, perché visto il loro spropositato talento, collaborando con loro ne avrei condiviso anche la gloria (certa) quando sarebbe arrivata (prestissimo). A parte un paio di inciampi iniziali che mi sono serviti da lezione, ho poi rifiutato di lavorare per pietatis causa.

Oltre a questo c’è da considerare che meriterei dei compensi anche per il tempo e l fatica spesi a fare recupero crediti… per non parlare della sofferenza. Normalmente mesi, ma è capitato di attendere anche più di un anno e di fare decine di telefonate per ricevere il mio compenso.

Quando ho iniziato nel 2006 MTV passava ancora video indipendenti, nel giro di uno o due anni ha cominciato a trasmettere solo video commerciali poi è passata a reality show spazzatura e poi grazie a Dio è morta definitivamente. Quindi se per un annetto buono ho pensato che fare video potesse essere una professione, poi i video hanno cominciato a girare solo su internet e i budget sono scesi a 500/800 euro che per fare animazioni è una cifra improponibile.

Comunque potrei scrivere venti o trenta pagine con l’elenco delle ragioni per cui non ho più nessuna voglia di fare videoclip.

Aggiungo solo che quando monti un video o fai animazioni devi ascoltare la stessa canzone (magari a pezzi) anche un centinaio di volte al giorno, e se per caso non dovessi sopportarla e lo fai perché devi pagare l’affitto è veramente qualcosa di allucinante. Io poi non riesco quasi più ad ascoltare musica italiana da allora (ad eccezione di gente perlopiù morta). Insomma è una professione che consiglio caldamente a tutti, specialmente a chi fa animazione!

Parliamo di Aminoacid Boy e The Chaos Order: è un libro del tutto originale rispetto al resto della produzione a fumetti italiana. Intanto è fortemente pittorico, per cui si ha l’impressione che tu sia approdato al fumetto ma che la matrice di partenza rimanga proprio la pittura. È così? In tal caso, da dove è arrivata la necessità di trasformarlo in una sorta di fumetto? Ci sono poi altri autori che senti a te affini in quanto a tecniche? Per esempio, di un classico, benché un po’ distante Bill Sienkiewicz, oppure Dave McKean, cosa ne pensi?

Ancora frastornato dall’esperienza video sentivo la necessità di fare qualcosa in maniera autonoma che rappresentasse me e che non fosse di supporto al lavoro o all’immaginario (seppur sonoro)  di qualcun altro.. avevo questa storia che mi girava in testa da diversi anni. Mi piace cambiare media e sperimentare, o meglio, mi annoio se faccio sempre le stesse cose, quindi ho deciso di dedicare cinque o sei mesi a provare a fare un fumetto. A quel tempo lavoravo part time, stampavo TAC in uno studio radiologico … tornavo a casa e disegnavo tutto il pomeriggio… ci ho messo tre anni a fare il libro. Non avevo una idea  chiara di come si facesse un fumetto e avevo ancora quella sorta di timore reverenziale dovuto al fatto che pensavo si dovessero apprendere delle tecniche esatte e ci si dovesse rigorosamente attenere al rispetto di delle misteriose regole. Questo mi ha rallentato e bloccato molto all’inizio. Il libro è figlio dell’incoerente compromesso tra un approccio anarchico e un goffo tentativo di rispettare convenzioni teorizzate quasi sicuramente solo dal mio subconscio non avendo io una reale conoscenza della materia.

Per quanto riguarda l’approccio pittorico, sicuramente ho guardato a alla pittura, ma non più di quanto abbia guardato a illustrazioni che ho scoperto navigando in internet e che hanno attivato i miei sensi.

Credo che l’idea dell’approccio pittorico non sia legata tanto ai miei riferimenti ma piuttosto al media che ho utilizzato che è principalmente l’acrilico.

Non leggo fumetti, non conosco nemmeno i classici, mi piace creare ma non sono un fruitore. Credo sia per questo che molti mi dicono di trovare il mio fumetto originale rispetto alla produzione Italiana: non ho riferimenti di produzione Italiana. Per me il mio fumetto è semplicemente un “mio normale fumetto”. Gli autori che hai citato non li conosco. Ne ho guardato delle immagini su google e penso che siano bravissimi ma non è questo ciò da cui sono attratto. Mentre lavoravo ad Aminoacid Boy ho scoperto che esiste un universo meraviglioso nell’ambito dei fumetti, specialmente cose americane e cose orientali, ma devo dire di essere più attratto dal mondo dell’illustrazione rispetto a quello dei comics.

Gli autori che amo oggi sono forse un po’ naive, grotteschi e spesso surreali.

Al momento mi piacciono Atak, Abraham Diaz, Brian Chippendale, Julien Rictus e Mathieu Desjardin che è un illustratore bravissimo con cui ho avuto la fortuna di collaborare per una serigrafia.

 

Come hai lavorato, intendo proprio come metodo di lavoro, a Aminoacid Boy e The Chaos Order e alle sue singole parti? 

In ogni capitolo ho cercato di usare una tecnica differente, in uno solo acrilici, in uno olio, in acquerello, uno è solo in bianco e nero, uno è giocato tutto sui toni del rosso. All’inizio pensavo che dei materiali specifici fossero importanti, quindi ho letto un sacco di istruzioni su internet, ma dopo vari tentativi con questo approccio ho capito che le regole applicate su di me non davano i risultati sperati. Ho scoperto poi che mi piace lavorare con i pennelli rovinati, mi piace l’effetto materico che puoi ottenere e sono ottimi per le textures.

Avevo un’idea generale del libro quando ho cominciato ma il risultato è qualcosa di completamente diverso, questo perché essendo il primo fumetto dovevo trovare il mio modo di fare le cose, oggi certamente saprei avvicinarmi molto di più all’idea iniziale.

Cosa puoi dirmi invece, del tuo webcomic, Bubble and Guts, da cosa ti è arrivata l’esigenza di questo lavoro e questa sperimentazione che sembra un po’ derivare dai primi anni del web di massa? 

Bubbles and Guts è un lavoro che ho pensato subito dopo Aminoacid Boy… venendo dall’animazione mi mancava vedere i miei disegni prendere vita, e mi mancava anche il comporre della musica, che è l’atto creativo che mi riesce più naturalmente e mi rilassa di più…

Il webcomic ha questo feeling da primi anni del web (che a me piace molto) perché non ho nessuna padronanza dei linguaggi come javascript e non sono riuscito a trovare un software adatto a realizzare ciò che avevo in mente, quindi ho usato un web builder obsoleto che mi ha causato delle forti nevralgie. Per arrivare alle costruzione delle pagine finite il processo di lavoro è stato forse il più intricato che io abbia mai elaborato… disegnavo in acrilico i personaggi e gli sfondi, poi li scansionavo e ritagliavo in Photoshop, li importavo e animavo in After Effect, riimportavo in Photoshop per ottimizzare le gif e poi componevo e aggiungevo l’interattività in questo orrendo web builder che usavo.. poi facevo le musiche e pregavo che tutto funzionasse… insomma un’operazione cervellotica e masochista.

Purtroppo a metà del lavoro dei fatti personali mi hanno costretto a cambiare vita, l’entusiasmo per il progetto è crollato, specialmente dalla metà in poi credo sia evidente un calo della creatività e trovo la chiusura orrenda… prima o poi riprenderò il finale e lo sistemerò. In  pochi hanno visto il webcomic, ma quelli che sono riusciti a “leggerlo” mi hanno detto di essersi divertiti un sacco e sono rimasti entusiasti per la vena psichedelica.

Sculture, maschere e modellini: come se fossero l’incarnazione materiale dei tuoi fumetti, mi sembra. Sono tutti pezzi unici? Non hai pensato di provare a produrli insieme e farne un piccolo mercato di nicchia? C’è qualche statua o statuetta d’altri artisti, gadget pop o produzione limitata d’artista che invidi, che vorresti avere o che semplicemente ammiri moltissimo?

Devo dire che fare maschere e sculture mi riesce in modo fluido piacevole. Per ora sono tutti pezzi unici, ma mi hai letto nel pensiero.. sto pensando di fare delle piccole edizioni limitate di dieci o venti pezzi.

All’opposto di quello che dici direi che nascono prima i volti delle maschere e i personaggi delle statuette piuttosto che i fumetti. E’ come se facessi una sorta di character design a cui poi costruisco intorno una personalità e delle storie.

Anche riguardo gli artisti che fanno toys sono assolutamente ignorante, ma posso dirti che ho visto delle statuette di Takayuki Futakuchi che mi sono piaciute moltissimo.

In linea generale, come vedi il tuo rapporto con l’underground e con il mercato di massa? Mi pare tu ti muova nel tuo e stia piuttosto lontano da circoli e circoletti, collettivi, aziende e simili.

Quello che mi interessa del mio lavoro è la parte della creatività, e mi piace il fatto di essere in ln laboratorio e produrre cose che mi sorprendano. Purtroppo sono costretto a spendere circa metà del mio tempo a cercare di promuovere quello che faccio. E’ bello e necessario arrivare alla gente e avere un riscontro positivo, ma toglie davvero molto tempo alla creatività. Cerco di fare arrivare il mio lavoro agli altri il più possibile con internet. Non amo parlare in pubblico e se vengo invitato a degli eventi preferisco partecipare se ho una mostra, perché sia il mio lavoro a parlare per me. Sono timido (forse sociopatico) e odio quando mi chiedono di (o obbligano a) partecipare a un dibattito o a una conferenza, per non parlare di quando mi chiedono di disegnare in pubblico. A volte non riesco a disegnare nemmeno da solo, mi servono dei giorni perché scatti una molla, figuriamoci se c’è qualcuno che mi guarda.

Riguardo i collettivi mi piace il confronto con altri autori, credo sia importante questo tipo di confronto e che stimoli la creatività, forse si tratta solo di trovare il giusto ecosistema per me.

Puoi raccontarci qualcosa, qualche ricordo, immagine, una qualche epifania, relativi al tuo periodo di residenza artistica in Vietnam? Come mai proprio il Vietnam, poi, e quali sono le impressioni maggiori sul fronte delle arti locali, e dei panorami, fauna e flora, o persino degli alimenti, che quelle terre ti hanno lasciato?

Domanda enorme. Potrei scrivere un libro al riguardo.

Sono andato in Vietnam perché invitato e mi è sembrata una proposta interessante. Gli organizzatori della residenza sono due Francesi, Xavier e Flora più Thung, un Vietnamita. Mi dicevano che realizzare delle opere era solo il pretesto della residenza. Lo scopo era la perdizione. Ho vissuto con circa 12-16 artisti internazionali (dipende la periodo) per circa due mesi, in un grande laboratorio a Cu-Chi, un distretto di Ho Chi Minh nelle campagne. Lo spazio dove vivevamo e lavoravamo è una struttura di mattoni aperta, sorretta da colonne e senza finestre, collocata all’interno di una sorta di fattoria tra la campagna e la giungla, con galli da combattimento, anatre cani e topi, il tutto nelle vicinanze di un fiume. Dopo due settimane dal nostro arrivo è iniziato il capodanno cinese, che in Vietnam si festeggia per circa un mese. Thung ha amici di ogni estrazione sociale, tutti i giorni arrivavano fiumi di persone a conoscerci e ci portavano cibo e alcool. Certamente sono molto forti i ricordi sensoriali. La gente cerca il contatto non solo visivo, ti tocca e ti abbraccia. I profumi e i colori del cibo sono intensi. Gli odori delle strade, dei mercati e dei locali spesso nauseanti. Anche la percezione del tempo è diversa, forse perché non c’è una grande differenza tra le stagioni a rendere evidente lo scorrere del tempo. E’ una sorta di continuo, quando le persone si siedono ad un tavolo cominciano a mangiare discutere e cantare non esiste un orario per andarsene.

Dal punto di vista creativo, abbiamo realizzato una mostra collettiva a Saigon in una associazione di lesbiche vietnamite chiamata Chaos Downtown. La città è piena di contraddizioni, specialmente c’è un grande divario tra ricchezza e povertà. C’è una forte apertura nei confronti delll’arte e della “cultura” occidentali, anche se spesso probabilmente, detto dal punto di vista di un occidentale, si tratta di una apertura senza il filtro del buon gusto. Sicuramente c’è molto fermento e voglia di sperimentare nuove contaminazioni soprattutto da parte dei più giovani.

Parte del tuo percorso sta nell’autoproduzione: a conti fatti, dopo la pubblicazione di Aminoacid Boy e The Chaos Order, quali conclusioni e impressioni hai tratto? Com’è poi andato il crowdfunding rispetto alle tue aspettative ed obiettivi?

Il crowdfunding è andato molto bene, ho raggiunto mi pare il 140% dell’obbiettivo economico prefissato. Il libro però non è nato pensando alla campagna, ma viceversa. Ho venduto anche molte tavole originali e questa è stata una bellissima sorpresa. Dopo circa un anno che lavoravo al libro mi sono chiesto come avrei potuto fare a stamparlo, non avendo idea di come fare ad approcciare un editore, non conoscendone, non avendo voglia e tempo per provare a farlo e pensando che comunque il mio lavoro non fosse in linea, ho optato per questa opzione. Avendo fatto un solo crowdfunding e non avendolo fatto in maniera sistematica non so dirti se sia un modello sostenibile. Probabilmente proverò a farne un altro nel futuro prossimo (sto iniziando un nuovo progetto proprio in questi giorni) ma usando un approccio e accorgimenti leggermente differenti.

Una cosa posso dirti per certa. Per fare funzionare un Crowdfunding occorrono due cose:

un lavoro consistente che possa catturare l’attenzione e l’interesse del pubblico

e poi deve esistere il tuo pubblico.

Per far funzionare la mia campagna ho lavorato circa un anno studiando e creando interesse sui social media (che prima non frequentavo), altrimenti non avrebbe funzionato.

Una curiosità: cosa puoi raccontarci di Protector of the Kennel, il tuo prossimo libro in lavorazione? Per quanto hai fatto sino ad ora, cambiano le tecniche, i modi, la tipologia di lavoro?

Se il lavoro per Bubbles and Gusts è stato interrotto da un momento difficile, Protector of the Kennel ha cominciato a nascere poco dopo questo periodo, e stava nascendo dalla necessità di affrontare delle tematiche personali. Nel mio caso i tempi della vita, per quanto lunghi, sono stati più veloci dei tempi di realizzazione di un fumetto, per cui ad un certo punto non mi andava più di affrontare tali argomenti o forse non ne ho più sentito la necessità.

Dal punto di vista visivo lo trovo ancora interessante, stavo disegnando a china e poi colorando a computer usando textures e filtri. Non mi piace abbandonare i lavori ma forse questo è uno dei casi in cui lo farò. O forse un giorno riuscirò a riprenderlo e dargli una nuova lettura e una nuova luce.

Ho preso questo bizzarro appunto, di cui non ricordo niente, per la realizzazione di quest’intervista: “Pasticceria”. Con una rapida googlata ho trovato il motivo, che però mi pare poco sensato. Eppure lo lascio e ti faccio questa domanda bonus di curiosità, sciocchezza e zuccheri: quale il tuo rapporto con i dolci, la cucina e con la pletora di programmi televisivi dedicati all’argomento?

Sicuramente sono più i dolci che ho mangiato in vita mia che i fumetti che ho letto! Questo fa di me un esperto di dolci? Non credo!  Probabilmente avrai letto da qualche parte che mi piacciono i colori dei dolci.  Cucinare mi rilassa e mi piace mangiare, cerco di farlo almeno due volte al giorno da parecchi anni. Non guardo la tv, trovo che trasmetta una visone distorta e perversa della realtà.

©Daniele Ferriero