L'internazionale italica

Intervista a: Vasco Viviani

Vasco Viviani ha attraversato il fiume carsico musicale italo-svizzero come il migliore tra gli apneisti: in immersione, con il fiato strigliato dalla volontà di scendere negli abissi, scovare il sottosuolo e uscirne ancora integro e funzionante. Non solo, non tanto per la volontà di una prestazione agonistica, quanto per la fisiologica necessità di porsi trasversalmente all'esistente.
In questo esercizio, il suo strumento principale è stato Old Bicycle Records, etichetta discografica con la quale ha scandagliato il fondo delle musiche contemporane per anni, senza limiti né preconcetti, solo e soltanto la pura gioia dell'azione sonora. Prima della chiusura.
Ho incontrato i suoi dischi a più riprese, negli anni, scrivendone su Rumore e incrociando i "suoi" musicisti dal vivo. Questa chiacchierata, un atto dovuto al suo impegno e passione.
Da quando è avvenuta, è passato un colpevole anno.

 

Partiamo dal momento: cosa fai nella tua vita, dove abiti e lavori, qual è la tua situazione lavorativa e famigliare? Questo è quello che avevi in mente, dieci anni fa?

Ciao Daniele, nella vita sono ormai un operatore sociale (sponda educatore) da una decina di anni e dopo una lunga esperienza nell’ambito della disabilità adulta al momento coordino un centro diurno per persone anziane da circa da poco più di due anni. Caso voglia che quest’anno siamo giunti al decennale della mia relazione con Jessica, compagna di vita con la quale abbiamo procreato Alide due anni fa ed abbiamo sistemato casa, nella quale viviamo insieme a Melvin, bouledogue francese nostro compagno fedele da 7 anni. Diciamo che sto vivendo il mio periodo di stabilità sotto la triade casa famiglia e lavoro e sono molto felice e soddisfatto. Dieci anni fa non pensavo sarei arrivato qui ora ma il percorso è sempre molto interessante ed ho avuto modo di togliermi diverse soddisfazioni, sia personalmente, che professionalmente ed artisticamente.

Per essere qualcuno che ha vagliato in lungo e in largo la musica sperimentale, ho spesso intravisto nei tuoi ascolti musica pop, trap e percorsi apparentemente fuori dalle rotte sperimentali. È sempre stato così o è una ricerca che ti ha preso negli ultimi anni? Quali sono i dischi pop migliori che consiglieresti tra gli ultimi due anni? E quali i dischi che hai consumato maggiormente negli ultimi cinque, in ogni campo?

Molto banalmente non riuscirei a vivere ascoltando solo musica sperimentale né soltanto pop…una buona miscela di ogni genere è quel che riesce ad appagarmi. Calcola che, tagliando con l’accetta, ho avuto un “battesimo” musicale nell’ambito delle Posse e della musica di protesta di metà anni ’90, per poi essere soggetto ad un’ondata di punk-hardcore / indie /emo statunitense e canadese ed attraversare una fase rap piuttosto impegnata come espressione e globale come ascolti (rappavo in un gruppo, i Punto di Riferimento o Pidierre, che utilizzavano come basi strumentali di Smif & Wessun, Modd Deep e similia) nella scena statunitense. Crescendo mi è sempre piaciuta la possbilità  di ascoltarmi un bel pezzo di Adele ed uno altrettanto bello di Penderecki, non ci vedo nulla di male, peggio sarebbe ascoltarsi un pezzo brutto di Adele ed uno orribile di penderecki se mi capisci… a livello di album POP negli ultimi anni potrei citarne 10, per offrire un ventaglio abbastanza completo:

  • Lorde – Melodrama
  • Egrenn – More Hate
  • Tedua & Chris Nolan – Il disco della giungla
  • Calcutta – Mainstream
  • Neneh Cherry – Blank Project
  • Willis Earl Beal – Nobody knows
  • Eric Chenaux – Skullsplitter
  • The Uncluded – Hokey Fright
  • Sequoyah Tiger – Parabolabandit
  • Frankie Cosmos – Next Thing

…ma sono quelli di oggi, domani già potrebbero cambiare abbastaza radicalmente (e mi sto pentendo in questo istante di non aver messo nulla di Gue Pequeno)…

I dischi consumati dipendono moltissimo dai momenti di ascolto, negli ultimi tempi ascolto musica per lo più in auto facendo il pendolare da casa al lavoro, ed a casa, con Alide e Jessica a volte mi “censuro” non proponendo cose troppo estreme diciamo…però, senza cercare nel mio muro di dischi quelli che più mi hanno segnato in questi ultimi anni, potrei citare senza dubbio KHORA degli AUFGEHOBEN e PEER AMID degli SKULL DEFEKTS, bombe esplosemi in mano e dalle quali non so se voglio riprendermi, l’omonimo nastro dei SAD CAMBODIA, perché oltre che essere stato suonato e prodotto da due grandi amici e collaboratori è un incontro che trovo bellissimo e molto romantico tra due musicisti che, su carta, nulla avevano in comune ma che hanno gestito questa distanza al meglio. AZULEJOS di Populous e YO AMANECI (è una ristampa, concedimela) di ANDRES Landero, due album che ti ricollegano il cuore al caldo ed alla danza, fedeli compagni dei primi anni di mia figlia.

Per chiudere, so che può sembrare una ruffianata ma non è così, cito THE COLD PLAN di MY DEAR KILLER, un regalo forse insperato, tanto il tempo passato tra le registrazioni e la pubblicazione del disco, un lavoro che mi ha permesso di focalizzarmi su quello che fosse importante per me a livello produttivo e che, ad ogni ascolto, mi fa capire di quanto in fondo sia solo un romantico ed abbia bisogno di suoni e voci che mi lacerino l’anima.

Banalmente, piacerebbe poi procedere dall’”inizio”, la fondazione di Old Bycicle Records. Se non sbaglio l’esordio fu in combutta con Sparkle in Grey per il primo album. Da dove ti era venuta fuori l’esigenza di aprire un’etichetta e quale volevi fossero inizialmente le direttive principali? 

La storia della nascita di OBR è sempre quella, mi perdoneranno i fedeli lettori che si avventurano nelle nostre interviste…iniziai a chiacchierare durante un Tagofest con Matteo Uggeri, mentre ero al banchetto di Pulver und Asche Records. Mi spiegò di essere alla ricerca di sodali per la pubblicazione di Mexico, secondo album degli Sparkle in Grey pronto da diversi anni ma fermo al palo. Ascoltato, me ne innamorai e decisi di intraprendere questa folle avventura per capire come potessi singolarmente intervenire sulla visibilità di un progetto e come potessi mettere in pratica le balzane idee che mi covavano saltuariamente in testa. Partii così, senza indugio, e non mi sono mai pentito, difendendo coraggiosamente tutte le produzioni effettuate. I riferimenti furono quelli storici, sia per storia acquisita che per vicinanza morale e geografica (Touch & Go, Dischord, Sincope, Boring Machines, Constellation, per citarne 5). Non ho mai cercato una linearità nel discorso OBR, sperando sempre nell’incontrare ascoltatori abbastanza trasversali e curiosi da poter condividere i miei amori musicali, fossero questi noise o cantautoriali.

Dovessi descrivere le tappe principali del tuo percorso in OBR, quali pietre miliari, dischi e collaborazioni citeresti e per quale ragione? Una sorta di cronologia biografica, virtuale e ragionata, diciamo.

Allora, i passaggi importanti penso possano essere, nel 2012, la fiducia che mi diedero Mesta, Arrington de Dionyso, Torba e Praying For Oblivion. Non mi conoscevano, non avevano mai avuto a che fare con me e furono disponibili a concedersi per un lato di una cassetta, in compagnia di altri musicisti che, per la maggior parte dei casi, nemmeno conoscevano. Non è per nulla scontato e gliene sono parecchio grato! Il secondo passaggio, nel 2014 con la pubblicazione di tre lavori secondo me molto significativi, come Like Lamps On By Day di Stefano De Ponti, Dannato di Futeisha ed il primo Silent Carnival. In tre ambiti differenti sono a mio parere tre lavori di estremo spessore, ai vertici dei propri gruppi di appartenenza in Italia. Nel 2015 Doropea di Fabrizio Modonese Palumbo ed Hexagon Gardens dei Melampus, nomi parecchio grossi, conosciuti e con una bella storia alle spalle, mi hanno regalato quello che a mio parere sono due piccole opere d’arte, per forma e sostanza. Nel 2016 l’esordio degli Houstones, rock band ticinese, grazie ai quali sono riuscito a scardinare il nostro piccolo cantone, facendoli suonare agli studi Radio ed allo Studio Foce di Lugano, praticamente le locations più ambite del territorio a livello istituzionale. Una grandissima soddisfazione, anche perché il mio contatto con il territorio è stato sempre piuttosto arido, eccezion fatta per sparute situazioni e persone (penso a Spazio Lampo a Chiasso e Sonnenstube a Lugano che hanno sempre sostenuto e dato supporto).

Ci sono state singole uscite di OBR che tu stesso hai trovato bizzarre combinazioni sia per il contenuto sia per le forme, oppure ancora per la maniera in cui sei arrivato a loro? In questo senso, c’è stato qualche episodio particolarmente divertente o significativo? O un singolo disco che non ti saresti mai aspettato di pubblicare?

La più bizzarra a livello di forma penso sia stato lo split fra Eugenoise e The Lay LLamas, con una custodia che mi è venuta a costare praticamente più che il prezzo di vendita del nastro completo! Un suicidio commerciale annunciato, ma ne è valsa la pena, anche perché sono poi riuscito a portare i due ad esibirsi a Lugano come Mussel & Muscle, un’esperienza che per più di uno sventurato ascoltatore si è rivelata sconvolgente (e finalmente una scheda tecnica in cui le richieste più evidenziate fossero comprensibili ad un idiota tecnico come il sottoscritto, RAMI E FOGLIE SECCHE!). Potrei raccontarti di quando Aldo Becca mi spedì una bozza di quello che poi sarebbe diventato Canti Impopolari di D’ora Stella…eravamo entrambi al computer ed io accettai la produzione all’ascolto del secondo brano, facciamo ad un tre minuti abbondanti all’inizio del tutto, che  il sentore per me è sempre stato più importante del sentire. Oppure dello sgomento nel sentire per la prima volta Tape Crash 4 ed accorgersi che Tapeline, la ditta che ha duplicato la maggior parte dei miei nastri, aveva registrato per due volte lo stesso brano di Torba sul suo lato! Per quanto riguarda invece i lavori che mai mi sarei aspettato di pubblicare diciamo che Fabrizio Testa con il suo Lungo Addio mi ha portato dove non pensavo sarei mai finito, aprendo le porte anche ad Aldo Becca. Un mondo lontanissimo da quanto avevo prodotto fino ad allora ma che mi sembra sia stato apprezzato da fan e nuovi adepti.

Invece, sul fronte dei giornalisti e scribacchini di vario corso: non temi che la vicinanza ideale (chi si occupa di certe sonorità e correnti musicali tende a riconoscersi, rassomigliarsi, condurre quell’attività più o meno collaterale di scrittura da anni) possa spingere, anche non coscientemente, a mancare di spirito critico? Non percepisci una sorta di continuità che rischia di far venire meno le stesse fondamenta che reggono quegli ideali, quella spinta alla ricerca, a “remare contro il presente, contro il già dato”?

Ti dirò, credo che il mercato sia talmente piccolo che una vicinanza di intenti e di interessi sia inevitabile; trovo che comunque ci sia una buona capacità di analisi e delle ottime penne al servizio dei media. Quel che manca, spesso , è lo spazio di approfondimento e di analisi, raro ed irrangiungibile per delle piccole produzioni come le nostre erano. Ho iniziato a leggere i mensili musicali italiani ed i principali siti una decina di anni e, soprattutto grazie a loro sono venuto a conoscenza di quanto accadeva ed accade nel mondo musicale. Tieni conto soprattutto che sono nato e cresciuto in Svizzera e che, alle nostra latitudini non esistono media musicali di nicchia (l’unica realtà presente  e che inizia ad essere storica è Radio Gwendalyn, stazione Web/DAB con relativo festival musicale) ma comunque per me ogni numero di Rumore e Blow Up sono sempre stati una boccata d’aria! Sono stato meno legato a Rockerilla, Mucchio e Buscadero ma ho conosciuto giornalisti di livello che si sono sempre dimostrati appassionati e competenti (Brunetti e Polverari per citare i due ai quali sono più legato). Per quanto riguarda il “remare contro il presente, contro il già dato” ho avuto quest’anno uno scambio con SIB e Budetta sulla rubrica della posta di Blow Up, poi continuata in forma privata, arrivando alla conclusione che siamo noi come ascoltatori in primis a doverci muovere alla ricerca della nostra dieta eccellente, se poi l’interesse rimane quello di facciata regalato su Facebook senza un effettivo riscontro concreto che ne possono i media? Restano un mezzo fra produttore e fruitore ma non credo vengano meno i momenti di onestà intellettuale (in dieci anni mi sono permesso una sola volta di scrivere ad un giornalista perché a mio parere non aveva scritto quanto ascoltato o non aveva ascoltato quanto scritto); quel che manca è forse il dopo, la difficoltà ad inserirsi in un circuito dove suonare regolarmente dal vivo, ad avere una possibilità di visibilità spesso negata perché poco “trendy” e crearsi un pubblico.  Non riuscendoci viene a mancare un confronto importante con il territorio ed il contesto di azione, sparendo dai radar e dalle mappe che contano… non è sempre facile colmare questo gap, raggiungere un’agenzia di booking sul territorio non è per nulla scontato  (per non dire impossibile) e contattando location e contatti da emerito sconosciuto si ha quasi l’impressione di passare per stalker. A livello di stampa  comunque l’attenzione ed il colore che uno Stefano Pifferi (finalmente incontrato dal vivo a ZUMA nell’ultima edizione dopo una vita di contatti via messaggi), un Maurizio Inchingoli, un Mario Biserni, un Federico Savini, un Federico Sardo, un Christian Zingales, una Romina Baldoni, un Emiliano Zanotti, un Emiliano Grigis, uno Stefano Fantino, un Gino Dal Soler, un Alessio Budetta, un Valerio Mattioli (che mi invitò a fare un DJ SET a Roma in una splendida serata, POPULAR HELVETICA 3, in compagnia di Richard Youngs, Golden Cup, Gala Drop, tantissima roba per cui gliene sarò eternamente grato!), un Marco Pecorari (sempre benedetta la sua rubrica!), un Maurizio Blatto (non ti cito ovviamente perché mi stai intervistando!) riescono a dare di un disco o di un concerto per me è acqua fresca, della migliore. Come produttore quello che un critico pensa del mio operato vuol dire moltissimo, quando sottoponevo il materiale per una recensione aspettavo con ansia il risultato, controllando sistematicamente i siti di riferimento. Conscio di quanto determinate penne avessero guidato in passato (e tutt’ora) i miei acquisti ovviamente aspettavo e speravo potessero farlo con quanto da noi uscito. Molti diranno che le recensioni non servono a vendere i dischi, servono però a creare interessi personali, questo a me basta ed avanza.

Sul fronte internazionale, quale sono le etichette, riviste, fanzine, singoli giornalisti e scrittori e musicisti che ammiri e segui per il loro grado d’innovazione, incisività, forza e vitalità musicale?

Negli anni sono state diverse le situazioni che mi hanno intrigato…spesso sono piccole realtà, seguite da un gruppo sparuto di persone, ma soddisfano in pieno i miei bisogni. Giornalisti come Mark Barton di www.marklosingtoday.wordpress.com o Mark Pino di www.markpinoondrums.blogspot.com, fanzine come Africanpaper, The New Noise, Sentireascoltare o à decouvrir absolument, Sodapop (con la splendida filiazione radio Sodapop Fizz, uno dei programmi che più mi mancano in assoluto, salvezza dei miei giovedì sera, ascoltatevi tutti i podcast qui: www.gazzarra.org/category/podcast/sodapop-fizz/ ), la storica Sands-zine di Mario Biserni / Etero Genio o Raised by Gypsies, approfondimenti come A Blog that celebrates itself, programmi radio come quelli tenuti da Patrick Pincot o Dominio dos Deuses sono quelli dai quali prendo il polso di quanto prodotto (sono fermamente convinto dell’utilità delle diverse recensioni  non tanto per quanto riguarda le vendite da lì derivate ma soprattutto per un riscontro critico) e di quanto uscito recentemente nell’ambito delle minuscole realtà come quelle che mi circondano; da lì si scoprono poi musicisti come Gilles Vignes, Vonneumann, Kali Uchis, The Star Pillow che vanno a comporre il mio mondo sonoro. L’unico tallone dolente a dire il vero è quel che riguarda la Svizzera; ho un’estrema difficoltà ad entrare in relazione con i media e la stampa musicale di settore e mi mancano tutta una serie di riferimenti che mi darebbero il polso su quanto avviene al di là delle vicine Alpi…

Tra i tanti che hai incontrato negli anni mi piacerebbe spendessi due parole sulle tue collaborazioni con Matteo Uggeri e i suoi Sparkle in Grey. Tutto sommato, mi pare abbiate condiviso belle pagine e affinità. Come vi siete trovati e incontrati? Quali sono stati i punti centrali del vostro percorso? E qual è il tuo disco preferito musicato da Matteo? Cosa pensi gli manchi sotto il profilo delle musiche o dell’organizzazione?

Come già accennato Uggeri è stata la causa di tutto questo. Ci lega, oltre ad un’affinità musicale anche una bella amicizia, anche se purtroppo i momenti per vederci di persona sono sempre pochi. Ci trovammo al Tagofest di 10 anni ( www.sparkleingrey.com/blog/38_tagofest_2008.htm ) e da lì lo seguo pedissequamente in ogni sua forma artistica, anche se langue un pochino con i Remote Control in compagnia di Luca Sigurtà, progetto a mio parere spettacolare! Gli Sparkle in Grey sono il tipico gruppo sottovalutato, con ogni valido motivo: demodé, schierati, artistici, poco appariscenti…come non amarli? I punti centrali sono sempre stati la chiarezza e la suddivisione dei ruoli, con loro a fare da artisti ed artigiani ed io a cercare di permettergli di farlo, insieme a pochi altri appassionati. Entro la fine dell’anno dovrebbe uscire il loro ultimo disco, Milano, primo dei quali mi gusterò finalmente da semplice appassionato ascoltatore. Ogni loro disco è per me un tuffo al cuore, hanno un tocco umano e caldo alla musica a cui non riesco a rinunciare. Per quanto riguarda i suoi lavori laterali posso dirti che ho una grandissima aspettativa per il lavoro che sta facendo con Stefan Christoff, artista già passato dalla serie Tape Crash ed agganciato  dal buon Matteo!

Domanda di rito: quale le differenze principali che riscontri tra la realtà culturale svizzera e quella italiana? Sia sotto il profilo più underground che a livello di media ufficiali, nazionali, mainstream? E sotto il profilo della burocrazia e dell’organizzazione, la tanto decantata serietà svizzera risulta veritiera o un mito da sfatare?

A livello di ospitalità e di accoglienza, economica ed umana per quanto riguarda la musica dal vivo la Svizzera a livello medio mi sembra molto superiore, nel senso che (qui ti parlo di impressioni rilevate sia come musicista che come organizzatore) a livello monetario e di approccio il musicista viene visto come una persona che lavora e viene retribuita e trattata bene, messo in condizioni di poter operare al meglio. Siamo più poveri a livello di media ma più forti sotto il profilo del sostegno (per quanto riguarda i tour all’estero o la produzioni dei dischi sotto una certa fascia d’età), anche se poi con l’Italia ti ci devi confrontare, essendo la Svizzera piuttosto piccola anche il tour più allargato non potrebbe durare più di 4/5 date…
Per esperienze personali (i pochi palchi calcati come NUFENEN qualche anno fa) ti posso dire che essere accolti con un buffet di affettati, formaggi e Birchermüesli, teglie di maccheroni dell’alpigiano ed un frigo personale prima di dover scaricare il furgone od una spina della birra per ogni gruppo coinvolto nella serata oltre al cachet in anticipo sono cose che in Italia non ho mai trovato, limitandoci a dover saltare giù dal palco mentre provavano a rubarci le giacche oppure dividerci 35 euro in tre gruppi alla fine di una serata. Esperienze molto diverse, entrambe bellissime ma a livello base come quello in cui operavamo si faceva ben sentire come immagini!
Ci sono moltissime realtà interessanti ad ogni livello in Svizzera: a livello di clubs realtà come il Bad Bonn a Düdingen, Reitschule a Berna, Usine a Ginevra e Fri-Son a Friborgo, oltre allo stesso Foce a Lugano negli ultimi anni hanno dato una visibilità a progetti elvetici e stranieri di tutto rispetto. Parlando di etichette vorrei citare realtà come L’È TÜTT UN FOLKLOR RECORDS, o LUCE SIA dal Ticino, THREE:FOUR e DEAD VOX in Svizzera francese così come BONGO JOE (label e negozio di dischi) ed EVEREST RECORDS, , progetti passati e presenti come NAMSKEIO E MNARSTIK, KARBON MUSIC, CAVE 12... Quel che manca forse è un coordinamento a livello di scena, l’unico evento che credo riesca a riunire quanto di buono sembra essere il festival LES DIGITALES, evento che si svolge in sei località elvetiche annualmente con artisti nazionali ed internazionali. Poi c’è il LUFF a Losanna, (Lausanne underground film festival) che nelle parti sonore offre spettacoli imperdibili ai più (ci sono stato in qualche occasione ed ho avuto il piacere di assistere a live di Etant Donnés, Dat Politics, Francisco Lopez, Velma, Keji Haijno e molti altri…) ma è più slegato da un contesto nazionale. 

La serie Tape Crash era dedicata a musiche sperimentali e uscite su cassetta: cosa rimane oggi di quell’impresa? E cosa ne pensi del formato, sia da un punto di vista qualitativo che produttivo? Ad oggi, ti sembra ci sia chi lavora con quello stesso spirito e materiali?

Tape Crash secondo me è stata una serie di valore, con un capo ed una coda, spero che qualcuno fra una ventina d’anni si prenda lo scriteriato impegno di ristamparla in un bel box-set! Resta sicuramente un bel ricordo e la consapevolezza di essere riuscito ad incastrare fra loro progetti lontanissimi in una soluzione crescente per qualità di confezione e stabile per qualità, fra progetti esordienti e storici seguendo il mio gusto trasversale. Per quanto riguarda la cassetta inizialmente l’ho scelta per la semplicità di duplicazione ( la prima uscita, All Scars Orchestra / Icydawn la registrai in casa ed il lavoro era talmente inascoltabile che il buon Daniele Brusaschetto ed il buon Sacha Rovelli riregistrarono le rispettive copie a casa loro!). Trovo la musicassetta un bell’oggetto anche se non sono un feticista, tanto più che diverse produzioni hanno cambiato supporto per volere dei musicisti (Paul Lemos non era convinto della cassetta così lo split tra Sparkle in Grey e Controlled Bleeding uscì su cd e se ne andò dalla serie ad esempio) ed i Melampus si prodigarono per avere i tre formati a disposizione (la cassetta con un remix di Luca Sigurtà di Night Laugh che a mio parere resta nelle perle nascoste di OBR…). Mi piace la serie come idea produttiva, ho molto apprezzato il CD-SINGLES CLUB di FINAL MUZIK di Gianfranco Santoro (con cui ho avuto il piacere di co-produrre il lavoro di Deison ed Uggeri) e le PHONOMETAK SERIES di Wallace e Sound Metak (con Mirko ho avuto il piacere di collaborare ad Il lungo Addio mentre con Xabier Iriondo e Mattia Coletti ho avuto il piacere di produrre THE POLVERE’S FAREWELL). Al momento non me ne vengono in mente altre… A livello di Tape Label invece mi è sempre piaciuto il circuito di approfondimento di network come TABS OUT o siti come CASSETTEGODS. Se ci pensi è folle, si dà più attenzione al contenitore che al contenuto ma così facendo ci si crea un limite entro il quale operare…una visione che non condivido ma che apprezzo e sono felice esista!

Ti va di tirare le fila su OBR, oggi, a distanza di tempo? Quale la più grande soddisfazione e la più cocente delusione? Perché hai deciso di chiudere i battenti e cosa puoi raccontarci della serata di concerti per la chiusura: un ricordo, un momento, una riflessione, quello che preferisci.

Non ho problemi ad analizzare quanto fatto con OBR…è stata un’esperienza chiusasi per evidenti limiti: non sarei riuscito ad offrire di più ai musicisti con il tempo a disposizione. Vedere progetti passati dalle mie mura riuscire ad offrire dischi splendidi (penso agli ultimi THE LAY LLAMAS o SILENT CARNIVAL, così come allo split HEXN / B E T A solo per parlare dei tempi più recenti) è la soddisfazione più grande. Le delusioni purtroppo sono legate a situazioni non gestite nella maniera migliore per leggerezze che hanno portato ad uscite che non rispettavano, nella veste grafica, quanto ci si aspettava. In realtà la fine era preventivata già da tempo, penso sia stato utile agire in questo modo anche per darsi una tempistica ed una programmazione di lavoro, facendo del proprio meglio fino ad un momento predeterminato. Per quanto riguarda la serata della chiusura è stato molto bello: in questi anni non ho mai organizzato molti concerti, anche perché la risposta che il pubblico dava degli eventi era abbastanza triste (se si eccettuano i festival Haru Indie, con ai tempi musicisti come Uocki Toki, Ovo, Altro, che in un contesto come Chiasso del 2005/2006 ebbero un discreto risalto. Devo dire che l’intensità di Houstones e Dagger Moth hanno dato onore al momento ed è stato un regalo che sono riuscito a farmi fare (in questi anni ho provato centinaia di volte a proporre gruppi alla direzione artistica del Foce, l’unica volta che, lateralmente, ci riuscii con i Bachi da Pietra avevo 39 e mezzo di febbre e me li persi!) in un locale che mi ha visto seguire i primissimi concerti della mia esperienza (ricordo che con gli Ariadigolpe mi fischiarono le orecchie per una decina di giorni, benedetta gioventù!) con due esibizioni intense e di tutto cuore. Artur Strupka, un giovane fotografo è riuscito a fissare molta di quella intensità su fotografia così il ricordo non svanirà molto facilmente… L’unica speranza che posso avere è che qualcuno, ascoltando o vedendo qualche mia produzione, sia stimolato magari a fondare un’altra etichetta, sarebbe il regalo più grande!

Ti chiedo un paio di pareri musicali e umani su un paio di artisti che hai pubblicato: Fabrizio Modonese Palumbo, con Doropea, e Stefano De Ponti, con Like Lamps On By Day.

Due bei soggetti! Fabrizio lo contattai nel 2013, proponendogli, quando avesse voluto, un nastro con OBR…tempo un anno e mi propose Doropea, album secondo me stupefacente insieme ad Under the cables, into the wind di (r) nei vertici dei miei gusti… Presi il primo disco dei Larsen tramite qualche oscuro mailorder ai tempi ma quello che realmente mi ipnotizzò fu Rever, ancora oggi fra i miei ascolti ricorrenti nei mesi invernali. Ho avuto il piacere di incontrarlo seppur brevemente qualche mese fa allo Zuma di Milano, pur perdendomi la sua esibizione con Klaus Miser. Trovo sia un musicista intenso e brillante, lo vidi per la prima volta dal vivo con Larsen e Little Annie a Chiasso non conoscendolo di persona (negli anni sono sempre stato il rompicoglioni da fine concerto al banchetto ma in quella occasione evitai, forse intimorito). Lo rividi dal vivo al concerto che organizzamo per lui e Paul Beauchamp a Lugano, due set solisti fra i più intensi che mi siano capitati di ascoltare, per una giornata delle grandi occasioni. Non mi piacciono particolarmente le classifiche ma Doropea, fra le cassette, è una di quelle alle quali sono più affezionato di certo.

Per quanto riguarda Stefano De Ponti invece, se non ricordo male contattò Stefano di Under my Bed e me nel medesimo periodo, ed entrambi ci innamorammo del suo lavoro. Con i tempi che ci contraddistinguono da sempre ci mettemmo quindi al lavoro per dare all’opera la giusta veste. Ne uscì questo piccolo gioiellino in stoffa ed in carta velina su CD-R e cassetta, di una leggerezza che sembrava irreale.  Non conoscevo il passato di Stefano e conobbi solo in un secondo tempo quanto fatto con i Passo Uno e con Eleonora ma ritengo che ancora non abbia ancora dato il meglio di sé, mi spiego. In questo periodo storico molti producono molto con diversi alias, collaborazioni e progetti. Tutto giusto, tanto più quando la produzione è di qualità alta (vedasi CALCE uscito per Kohlhaas e THE VERGE OF RUIN su Setola di maiale) ma bisogna ricordarsi, ogni tanto, di mettere un punto. Vorrei un album solista di Stefano con tutti i crismi, sicuro che sarà una bomba, visto anche il lavoro fatto con My Dear Killer per il suo ultimo disco. In questo mi ricorda un po’ Zeno Gabaglio con Pulver und Asche, bravissimo ma forse troppo collaborativo ed un pelo dispersivo, i talenti a volte vanno forzati e messi nella condizione di rendere al meglio…io non posso più farlo, qualcuno intervenga per dio!

In ultimo, somiglianze e differenze, complimenti e critiche rispetto a un progetto tanto diverso quanto affine, quello di Massimo Truculentboy Onza in Sincope Records.

Non ho mai incontrato Massimo dal vivo eppure lo sento veramente vicino…col tempo spero ci sarà occasione di un meeting a tavola! Con lui c’è sempre stato un rapporto molto stretto ed una visione condivisa su quel che un’etichetta discografica dovrebbe essere, con un confronto continuo nelle nostre uscite. Sono molto contento che sia riuscito a tornare in cartaceo con Mammamiaquantosangue che, se non erro, anni addietro fu il primo contatto indiretto che ebbi con lui (oppure Mastro Titta Produzioni? Comunque i tempi erano quelli), è una persona che si sbatte e crede ciecamente in quello che fa, la stima per chi in questi anni riesce a mettere in piedi una rivista ed a tirare le fila con tale coerenza è enorme (in questo vedo similitudini con marco Valenti di Toten Schwan / Tritacarne e, anni addietro, con Stefano Paternoster di Equilibrio Precario / Robot Radio). Massimo a livello di ascolti e produzioni è molto più noise di me ed ha una cooerenza produttiva molto più elevata; grafiche e design sempre impeccabili, che gli si può dire? Per trovargli un difetto dovrei tirar fuori la fede romanista! Ho già citato in precedenza Sad Cambodia, Compoundead e Wound sono due parti, una passata ed una presente a cui affidarsi senza remore, sempre metodiche, precise ed avvolgenti. Vorrei però spezzare una lancia per i Tronco, progetto di qualche anno fa che a mio parere sarebbe potuto essere una bella realtà in un ambito come il post-punk / emo che in Italia ha dato a mio parere pochissime cose buone ma quando le ha date sono sempre state splendide ( tre nomi: Altro, Fine Before You Came e Tronco appunto).  

©Daniele Ferriero